Noi che perdiam tempo coi gatti..

La maggior parte dei nostri visitatori, ma anche dei nostri detrattori, è convinta che tutto il nostro volontariato si svolga dentro la sede. Niente di più sbagliato. Certo, dentro si pulisce e tanto. Dentro si cura, e tanto. Dentro si accudisce e tanto. Ma fuori c’è tutto un mondo di felini – e non solo – con cui alcuni nostri volontari interagiscono quotidianamente o comunque con una certa continuità.
Il mondo “fuori la sede” in tema di gatti randagi significa colonie feline nuove e vecchie, ma soprattutto la scoperta e la conoscenza di quella figura semi-folkloristica comunemente denominata “GATTARO” o, come ogni tanto viene definito “IL SIGNORE DEI GATTI”.

Potrà sembrare scontato ma i gruppi di gatti randagi non si formano a caso sul territorio: la logica ci dice che un animale sinantropo come il gatto di strada (cioè che vive vicino alla comunità umana) tende a restare stanziale in una data area dove siano disponibili risorse di cibo e riparo.

Secondo questa regola quando la segnalazione di qualcuno inizia con “volevo comunicarvi che ci sono 5 o 6 gatti nel tal luogo” sappiamo per certo che non ci sono solo i gatti ma una fonte di cibo anche sporadica e dunque anche UN UMANO (e a volte più di uno) come “sponsor alimentare” anche non continuativo della colonia stessa.
Il primo scoglio è identificare la persona. Forse vi parrà ovvio che il segnalante sia il gattaro stesso. Niente di più sbagliato. Tante volte chi varca la soglia della sede o telefona è tutt’altro che amico dei gatti e vuole legittimare il suo disappunto e il suo fastidio per la presenza dei felini, e delle loro dirette malefatte, come ad esempio zampettare fango sulle auto pulite in sosta cercando un po’ di calore o scavare buche in giardini che devono restare staticamente perfetti come un Eden mistico.

Per essere sicuro di sfogarsi fino in fondo, e prendersi anche la sua misera rivincita – di solito NON ci dice chi è il vero gattaro. D’altronde è importante per noi conoscere ogni aspetto di una data situazione, per cui educatamente ascoltiamo tutti, comprese le rimostranze di chi i gatti non li ama proprio.

E anche quando sappiamo chi è il gattaro, va messo in conto che non è detto che collabori, negandosi addirittura persino al veterinario della ATS, giunto appositamente sul luogo per certificare la colonia felina.

Nelle colonie molto numerose composte da più decine di gatti, ci tocca fare letteralmente appostamento discreto in loco, manco fossimo investigatori privati, per scoprire -senza troppa sorpresa- che i gattari sono addirittura 5 in movimento indipendente l’uno dall’altro. Il passo successivo è creare un “network” che gira intorno al gruppo felino, ma stando bene attenti a non fare scontrare le personali inclinazioni psico-caratteriali di tutti i coinvolti nell’operazione di contenimento colonia.

Inizia in questo preciso momento la fase più difficile e allo stesso tempo invisibile di chi fa il volontario per i gatti randagi in strada. Bisogna mettere in campo tutte le proprie attitudini diplomatiche, un po’ di psicologia, una certa quota di didattica, qualche pillola di filosofia, una buona dose di sano pragmatismo e il rispetto per le regole a tutela dei gatti ma soprattutto tanta pazienza, determinazione e tempo per mixare tutti questi elementi puntando dritti al risultato, ossia la sterilizzazione dei gatti, variando spesso metodo o strategia.

In pratica prima di arrivare all’obiettivo finale attraverso una logistica breve che ben conosciamo (cattura-sterilizzazione-rilascio del gatto) abbiamo passato ore con i gattari (a volte settimane e a qualsiasi ora…) a dare consigli, ascoltare problemi, dirimere conflitti, garantire diritti, offrire consulenza, proporre soluzioni e fare psicanalisi (nemmeno troppo da strapazzo e non ce ne vorranno i professionisti del settore). Mantenere la calma e cercare di portare a casa il risultato positivo per gli animali non è mai semplice. In alcuni casi il binomio gattorandagio-gattaro coinvolge i meandri più profondi ed istintivi della mente umana e un passo falso nella conduzione della trattativa può mandare all’aria irrimediabilmente tutto.

Perché vi abbiamo raccontato tutto questo?

Perché qualche associazione che conosciamo ha addirittura smesso di fare volontariato con le colonie, e coi gattari nemmeno ci parla.

Perché qualcuno che dovrebbe farlo come istituzione non sempre lo fa o risolve dicendo “non date da mangiare ai randagi, che così andranno via”.

Perché qualcuno che è un veterinario professionista non ci tiene a perder tempo coi gattari, che possono rivelarsi scomodi e fastidiosi e prende subito le distanze da loro.

E perché ancora qualcuno continua a dirci “voi che perdete tempo coi gatti”..

Ma secondo voi per i circa 500 gatti sterilizzati sul territorio bresciano lo scorso anno, abbiam parlato coi gatti o invece interagito con le persone?

E soprattutto, abbiamo aiutato di più gli uni o gli altri?

 

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