Testo a cura di Donatella

Cercare di spiegare il fascino esercitato dai felini sull’uomo risulta un’impresa estremamente difficile.
In realtà se si chiedesse a categorie di persone diverse per cultura, provenienza e professione il perché un gatto affascina e conquista si otterrebbe un vero e proprio dedalo di spiegazioni.
Tra gli estimatori ci sono stati pittori che hanno ritratto gatti nel corso dei secoli alternativamente in grembo alla nobildonna o nel tipico contesto rurale, scrittori che ne hanno tessuto lodi riservando loro l’onore di essere i veri “musi” ispiratori, ma anche persone comuni totalmente soggiogate dal carisma del piccolo felino domestico.

Quindi, se da un punto di vista genericamente filosofico è quasi impossibile ricondurre ad una spiegazione riduttiva e semplicistica il fascino dei gatti, è viceversa possibile tentare una interpretazione evoluzionistica attraverso il concetto di “neotenìa”.

La “neotenìa” è il mantenimento nell’animale di caratteristiche fisiche (ma in termini evolutivi anche di comportamento) tipiche del cucciolo che si perpetuano anche nell’animale adulto.

Studi etologici compiuti oltre 60 anni fa da Konrad Lorenz avevano già evidenziato che la continuazione della specie nei mammiferi passava anche attraverso una sorta di riconoscimento del cucciolo da parte dell’adulto, il quale “modulava” la sua aggressività in funzione di alcune caratteristiche fisiche proprie del piccolo, quali una testa più grande rispetto al corpo, occhi tondi e sgranati, arti sproporzionati e in generale un aspetto goffo.
Tutte queste condizioni innescano nell’animale adulto una tendenza alla protezione e favoriscono il riconoscimento della propria prole e la conseguente tutela della stessa.

Questa affascinante teoria non appartiene esclusivamente ai mammiferi ma persino ad alcune specie di anfibi.

Nel caso dell’uomo (mammifero sapiens ad honorem) studi successivi di psicologia evolutiva hanno addirittura evidenziato che le caratteristiche sopra riportate (occhi grandi, fronte ampia, bocca e mento piccoli, guance paffute) restano in qualche modo inconsciamente memorizzate e vengono automaticamente e involontariamente utilizzate come standard anche per la valutazione su specie diverse, finendo con lo scatenare indistintamente sentimenti di protezione, cura e tenerezza sia che si tratti di un coniglietto, di un bambino piuttosto che di un micino.
Inoltre il gatto resta anche in età adulta di dimensioni fisicamente ridotte compatibili con la dimensione del neonato umano….

Non stupisce quindi il feeling storico tra le donne e i mici, di cui una delle massime espressioni è sintetizzata nella figura della “gattara” (anche se per esperienza posso dire con certezza che in Associazione ci sono anche molti discretissimi “gattari”).

Nell’imprinting neonatale del gatto c’è poi una fase di svezzamento precoce gestita in primis dalla gatta madre che in natura porta ai micini piccole prede come cibo.
E’ quanto meno palese che agli occhi di un gattino di 60 giorni una ciotola piena di croccantini portata da un bipede sapiens sia omologabile alla fornitura del cibo da parte della gatta.
A questo punto il primo legame affettivo-alimentare tra specie diverse è praticamente già avviato.
La stoccata finale nella conquista dell’umano da parte del gatto si insinua nel momento delle fusa: chi può resistere ad un tenero e minuscolo essere capace di far vibrare non solo il suo diaframma ma anche le corde dell’emotività di chi lo sta accarezzando?
Come sostiene Giorgio Celli “per il gatto, animale che non conosce gerarchia, noi non potremmo forse essere ad oltranza il simulacro della mamma-gatta?”

Non è inusuale inoltre vedere il micio di casa ormai adulto (magari nello splendore dei suoi 8,5 Kg!) comportarsi come un gattino, offrendo la pancia per farsi grattare dal proprio umano, miagolando con sguardo supplichevole la richiesta di cibo o reclamando sonoramente e prepotentemente coccole.

Secondo precisi studi etologici comparativi, l’intelligenza di un gatto adulto è paragonabile a quella di un bambino di circa 18 mesi. Il test preso a riferimento per tale confronto è quello dell’oggetto nascosto.
Un bambino di un anno e mezzo (e anche un gatto adulto) di fronte ai quali viene celato un oggetto (inizialmente visibile) dietro un paravento, si attivano in maniera analoga per cercare l’oggetto che comprendono essere nascosto alla loro vista ma comunque presente.
Il processo mentale che porta alla ricerca dell’oggetto si forma nei bambini intorno a quell’età ed è particolarmente sofisticato, perché implica logica e memoria ma non è diverso da quello formulato dalla mente di un felino.

Il concetto di neotenìa si è dunque già spostato dall’ambito fisico a quello evolutivo comportamentale perchè, come già altre volte ribadito, l’intelligenza speculativa del gatto ha saputo riconoscerne e farne propri i benefici indiscussi.